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Andrea e sua moglie Paola

“Nessun lavoro del lutto può compiersi pienamente, esiste sempre un resto”: Andrea lo spiega

Qualche mese fa ho perduto mia moglie dopo una lunga malattia. Ho scritto mia moglie, ma forse avrei dovuto dire la mia compagna di vita, una vita che abbiamo trascorso insieme dai tempi del liceo, percorrendo gli stessi studi, lavorando insieme, vivendo insieme e tanto altro. Per me è stata una perdita enorme e molto dolorosa, un dolore che è tutt’ora presente dentro di me, ma che sento via via attutirsi attraverso il “lavoro del lutto”. È questa un’espressione che tutti conosciamo, che tutti usano a volte anche senza conoscerne in pieno il significato. Pubblico oggi il mio quarto intervento su Sienasociale.it

Sono necessarie alcune premesse generali all’odierno scritto che sarà l’ultimo di questa serie dedicata al lutto. La prima è relativa al fatto che questa nota, forse a differenza delle precedenti, avrà imprevedibilmente un’atmosfera un po’ da contabile, la seconda che farò delle affermazioni generalizzanti che, come tali, sono sempre inesatte e fonte di equivoci.

Sartre diceva che nella vita siamo tutti viaggiatori senza possibilità di ritorno, il nostro è un viaggio con un biglietto di sola andata. Credo che questa considerazione, che ha almeno per me un effetto rasserenante, dovrebbe farci vedere la morte come un atto della vita, certo l’ultimo, ma non un a tragedia impensabile.

Ogni vita ed ogni morte sono sempre uniche e totalmente individuali, mai coincidenti o sovrapponibili con quelle di altri. Detto questo però può anche essere utile fare delle generalizzazioni, quasi delle statistiche, che ci aiutino a capire le grandi linee di fenomeni che a volte mettono in crisi i nostri pensieri e le nostre emozioni.

Di lutti poi ce ne sono tanti ed è forse il momento di dirlo e di differenziare all’interno della categoria. La parola lutto, infatti, si presta a entrare in gioco per tante gradazioni di eventi: dalla perdita di una persona cara, ma anche alla perdita di un animale di compagnia, alla fine di un rapporto o di un amore, alla percezione della fine definitiva di una stagione della vita, ma anche alla perdita di un oggetto o di un ricordo particolarmente caro. È chiaro che la dimensione (ecco l’aspetto un po’ da contabile) delle emozioni in gioco cambia, ma l’andamento del processo interno che ho cercato di descrivere nei precedenti pezzi è paragonabile, quasi linee parallele anche se con altezze ed intensità diverse. Il lutto è il meccanismo con cui la nostra mente affronta una perdita e non bisogna certo vergognarsi di dire o sentire che tale meccanismo può entrare in azione magari per la rottura irrimediabile di un computer (a me è successo) e la relativa, irrisolvibile perdita di un pezzo di vita (foto, scritti, conti e tanto altro) affidato a quella macchina.

Detto questo vengo ad una notazione ancora più difficile da fare. Rimanendo all’interno del lutto che nasce dalla perdita di una persona cara, a mio avviso, se ne possono comunque differenziare modalità diverse, sempre tenendo presenti le cautele che ho premesso all’inizio e che ci mettono di fronte alla infinita variabilità dell’umano.

Colgo, a tal proposito, tre situazioni prototipo: perdere un genitore, perdere la compagna (forse un fratello o sorella), perdere un figlio.

Il dolore che si può provare in ognuna di queste situazioni è diverso e cerco di spiegarmi.

Se perdi un genitore perdi gran parte del passato, un po’ del presente, quasi nulla del futuro. In qualche caso anzi il futuro prende slancio, basandosi sulla ovvia riflessione che ormai ci si trova in prima linea nella vita, che il tempo di fare cose e di realizzarsi non aspetta e forse, se ci sono progetti da raggiungere, bisogna muoversi. In più ci troviamo nell’ambito di una situazione che per qualche verso è fisiologica, è naturale che i figli seppelliscano i padri, con dolore naturalmente, ma senza tragedie.

Se perdi una compagna, perdi molto passato, quasi tutto il presente e quasi tutto il futuro di cui ti resta solo un mozzicone che va comunque riorganizzato profondamente. Naturalmente non mi stanco di dire che ogni situazione è diversa e in questo caso molto cambia in base al tempo trascorso insieme, al tipo di rapporto avuto e così via.

Infine, se perdi un figlio, che è senza dubbio il tipo peggiore di perdita che può accadere, si potrebbe dire che c’è una perdita del passato, ma forse soprattutto degli altri “tempi”, presente e futuro, di cui perdi tutto e la vita per riprendere la sua progettualità ha forse bisogno di un’elaborazione del lutto lunga e complicata.

Un’altra differenza che bisogna citare è quella che si stabilisce tra una morte improvvisa ed una invece attesa ed annunciata da tempo. Dico solo che la morte improvvisa ha di solito un ritardo nell’innescare il lavoro del lutto. C’è una fase ancora precedente che definirei cognitiva, in cui il soggetto stenta di solito a rendersi ben conto di quello che è successo, solo dopo può iniziare il lutto vero e proprio. Per l’altra evenienza invece è come se il lutto cominciasse addirittura prima della morte vera e propria e quel lasso di tempo, lo dico per esperienza personale, è estremamente penoso.

Ed infine al termine di queste riflessioni che ho cercato di svolgere intorno ai temi della morte e del lutto bisogna pur dire che, come tutti i meccanismi umani, anche questo non è perfetto e quindi, forse, nessun lavoro del lutto può mai compiersi pienamente, esiste cioè sempre un resto, qualcosa di indimenticabile che non ci consente di staccarci del tutto dalle nostre perdite.

Forse è questo che dà origine alla nostalgia, su cui si potrebbe molto parlare, che può prendere due strade molto differenti tra di loro.

Può diventare quella in salita del rimpianto o quella più piana della gratitudine.

Andrea Friscelli

Sienasociale.it ospita con estremo piacere le riflessioni del dottor Friscelli che ringraziamo per la disponibilità. Andrea Friscelli, psichiatra e psicoterapeuta ha lavorato per molti anni nel servizio di Psichiatria della locale ASL, è tuttora attivo anche nel Terzo Settore cittadino come fondatore della cooperativa sociale La Proposta (Orto de’ Pecci) di cui è stato per lunghi anni il presidente. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni libri e si dedica alla riflessione sui fatti felici o dolorosi della vita.

“Ho perso mia moglie. Mi impegno nel lavoro del lutto” la storia di Andrea – SIENASOCIALE

“Sentirsi colpevole senza colpa” Andrea e la pima fase del lutto – SIENASOCIALE

Andrea e sua moglie Paola

“Sentirsi colpevole senza colpa” Andrea e la pima fase del lutto

Qualche mese fa ho perduto mia moglie dopo una lunga malattia. Ho scritto mia moglie, ma forse avrei dovuto dire la mia compagna di vita, una vita che abbiamo trascorso insieme dai tempi del liceo, percorrendo gli stessi studi, lavorando insieme, vivendo insieme e tanto altro. Per me è stata una perdita enorme e molto dolorosa, un dolore che è tutt’ora presente dentro di me, ma che sento via via attutirsi attraverso il “lavoro del lutto”. È questa un’espressione che tutti conosciamo, che tutti usano a volte anche senza conoscerne in pieno il significato. Lavorare al lutto di una persona vuol dire lasciarla andar via piano piano, distaccarsene un poco per volta.

Vorrei cominciare il mio contributo odierno con alcune questioni etimologiche e terminologiche che, come capita spesso, non sono pignolerie da eruditi.

Lūgere è un verbo latino che significa piangere, il suo participio passato è “luctus”, che vista la sua forma temporale vuol dire “pianto”, ma come un’azione che è finita, passata, abbiamo pianto e quindi il luctus è avvenuto, finito. Forse possiamo non piangere più, lo abbiamo fatto abbastanza.

Perché il significato del lutto e del suo “lavoro” sta proprio qui, nel raggiungere la capacità di distaccarsi da chi non c’è più e, si potrebbe dire, nel lasciarlo andare, permettendo a chi resta di riprendere la propria strada, quella fatta di curve e rettifili, fino al proprio traguardo finale.

C’è però un problema, ancora, di tempo.

Visto che parliamo di un processo e non di un’operazione istantanea non c’è un tempo prestabilito, naturalmente, di durata e di compimento di questo lavoro ma senz’altro è un periodo considerevole. Poi ci sono a volte degli scostamenti patologici per cui l’operazione si trasforma in una manovra infinita, a volte invece qualcuno si illude di operare un lutto veloce.

È vero che ognuno ha i suoi tempi condizionati da mille cose, ma in generale il problema è che quando si parla dell’elaborazione del lutto il lavoro è lungo e per una semplice ragione. Quasi sempre la partenza di questo compito comincia da una posizione che è esattamente all’opposto di quella a cui bisogna arrivare. Non si può cioè accettare che la persona cara sia distaccata e proiettata in una dimensione definitivamente separata da noi. All’opposto, la volontà è quella di rimanere attaccato a lei, quasi di seguire il suo destino nel viaggio che sta cominciando.

In quella fase il dolore ci porta indietro, ci fa rimanere adesi a chi non c’è più, alla morte.

Personalmente mi è capitato esattamente questo, l’avrei seguita, se avessi potuto, senza esitazioni. D’altro canto, dopo quasi sessant’anni insieme, il vivere assieme anche questa esperienza appariva naturale. Molte considerazioni poi rendevano difficile ed estrema questa decisione, ma gli strati profondi del corpo, quelli che a volte quasi imperscrutabilmente governano la nostra presenza nel mondo, vanno spesso per loro conto. Così mi sono trovato a vivere un periodo (non del tutto superato, anzi) in cui tutto il mio disagio si manifestava nel corpo che si ammalava e soffriva, come mai prima di allora. Fino a quando qualcuno, più sfrontato, non mi ha messo di fronte a quello che anche altri avevano forse pensato, osservandomi. “Che vuoi fare – mi fu detto – vuoi andare dietro a Paola? Non ti accorgi di questa volontà negativa che stai rivolgendo verso te stesso?”

Forse questa scossa mi è servita a uscire dalla prima fase del lutto, creando un primo distacco con la mia amata. Che si basava sul semplice fatto che lei era morta, ma io no.

Qualcuno si meraviglierà: che scoperta è? non l’avevi ancora capito?

Inviterei tutti a non sottovalutare la potenza degli affetti al cospetto della pura e semplice ragione, che badate bene, in certi momenti, è solo una parte della nostra mente e forse neppure quella preponderante.

Lavorare al lutto di una persona vuol dire lasciarla andar via piano piano, distaccarsene un poco per volta, come quando ci trovassimo ad un bivio e ciascuno di noi due fosse più o meno costretto a prendere una strada diversa dall’altro. Forse il primo passo è proprio quello di accettare, accorgersi e convincersi che tra noi due si è creato un vallo che diventerà sempre più forte e incolmabile, anche quando questo, ed è la fase più difficile, è straziante e lacerante dentro, fonte di senso di colpa e di quasi insostenibile dolore.

Anche qui qualcuno potrebbe chiedere, senso di colpa di cosa? Del semplice fatto che lei si è dovuta incamminare da sola in un viaggio ignoto ed io invece sono rimasto qui nel mondo noto e che sempre ci aveva visto insieme.

Può bastare – credetemi – per sentirsi colpevole senza alcuna colpa.

Andrea Friscelli

Sienasociale.it ospita con estremo piacere le riflessioni del dottor Friscelli che ringraziamo per la disponibilità. Andrea Friscelli, psichiatra e psicoterapeuta ha lavorato per molti anni nel servizio di Psichiatria della locale ASL, è tuttora attivo anche nel Terzo Settore cittadino come fondatore della cooperativa sociale La Proposta (Orto de’ Pecci) di cui è stato per lunghi anni il presidente. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni libri e si dedica alla riflessione sui fatti felici o dolorosi della vita.

Andrea e sua moglie Paola Capodanno 2007

“Ho perso mia moglie. Mi impegno nel lavoro del lutto” la storia di Andrea

Qualche mese fa ho perduto mia moglie dopo una lunga malattia. Ho scritto mia moglie, ma forse avrei dovuto dire la mia compagna di vita, una vita che abbiamo trascorso insieme dai tempi del liceo, percorrendo gli stessi studi, lavorando insieme, vivendo insieme e tanto altro. Per me è stata una perdita enorme e molto dolorosa, un dolore che è tutt’ora presente dentro di me, ma che sento via via attutirsi attraverso il “lavoro del lutto”. È questa un’espressione che tutti conosciamo, che tutti usano a volte anche senza conoscerne in pieno il significato.

Andrea e sua moglie Paola

Andrea e sua moglie Paola

Sono stato stimolato a dare un contributo in tal senso e mi piacerebbe parlarne dando un mio concorso di conoscenza, purtroppo diretta e non solo teorica, di questo meccanismo psicologico. Questo forse mi costringerà a fare a volte riferimenti alla mia vicenda personale, cercherò di essere parco in tale aspetto e di mantenermi su un livello più generale senza usare termini difficili o troppo specialistici.

La vita è una strada piena di curve e rettifili, di salite e discese, di percorsi tra i più vari e diversi tra loro, ma in fondo compare sempre il traguardo.

A volte all’improvviso, tanto che uno lo passa senza neppure accorgersene, altre invece lo striscione si vede da lontano, così che tutto è chiaro da tempo.

Ma arrivare a varcare quel traguardo è sempre un riassunto, un sunto del tempo passato e finito. Che si tratti di un tempo passato senza costrutto o di una serie di realizzazioni, un bilancio definitivo si impone e capita che spesso questo compito tocchi a chi rimane.

Le società commerciali a cui la legge impone di pubblicare i bilanci annuali relativi alla loro attività hanno di solito sei mesi di tempo per farlo. C’è bisogno di tempo per organizzarlo, per raccogliere i dati e metterli in ordine. Così capita anche con i bilanci ben più complicati che misurano e descrivono le nostre esistenze, c’è bisogno di tempo, c’è bisogno che cali il dolore, che il lutto riesca a fare il proprio lavoro. Ma è altrettanto chiaro che coloro che rimangono e che hanno il compito di tracciare con i loro ricordi la parabola esistenziale di chi ha finito la corsa, in genere sanno già com’è andata.

Chissà se anche il protagonista sarà in qualche modo coinvolto in una simile attività su sé stesso, oppure sarà ormai svincolato da queste faccende così umane?

Noi siamo forse un po’ ossessionati dal problema del tempo che ci costringe a incasellare attività, cose, rapporti, giudizi e tanto altro (quasi tutto) in spazi temporali, ma di un tempo matematico che con il suo ticchettio ci corre dietro e non ci lascia immaginare dimensioni diverse, più elastiche o addirittura così inimmaginabili che, appunto, non possiamo neppure concepire.

Se le nostre vite ad un certo punto, sorpassato quel traguardo, entrassero in dimensioni temporali diverse? Se scorressero parallele ma con ticchettii asincroni o con flussi qualitativamente diversi?

Ipotesi fantasiose – diranno in molti – e forse con ragione, ma neppure del tutto escludibili.

Forse in quel “neppure del tutto” c’è uno spiraglio di speranza da non uccidere subito e per sempre.

Queste riflessioni di una fredda domenica di febbraio che poggiano su stati d’animo in leggera risalita rispetto a quelli quasi privi di speranza di qualche tempo fa, sembrano banali e magari sciocchi, ma in realtà si appoggiano su un importante lavoro fatto in questi mesi e che, senza volerlo descrivere nel dettaglio, si può sinteticamente definire come il lavoro del lutto.

Proverò a scrivere qualcosa a tal proposito, cercando di mettere a disposizione di un pubblico più largo il lavoro fatto e le riflessioni che ne scaturiscono.

Mi piacerebbe farlo con metodo descrivendo passaggi, incontri e pensieri.

Andrea Friscelli

Sienasociale.it ospita con estremo piacere le riflessioni del dottor Friscelli che ringraziamo per la disponibilità. Andrea Friscelli, psichiatra e psicoterapeuta ha lavorato per molti anni nel servizio di Psichiatria della locale ASL, è tuttora attivo anche nel Terzo Settore cittadino come fondatore della cooperativa sociale La Proposta (Orto de’ Pecci) di cui è stato per lunghi anni il presidente. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni libri e si dedica alla riflessione sui fatti felici o dolorosi della vita.

“Ho perso Luigi. Ora sostengo chi è nella notte del lutto” la storia di Rosangela

Pubblichiamo molto volentieri una storia di speranza. Quella di Rosangela Palmas che ringraziamo. Ecco le sue parole

L’8 agosto 2018, dopo aver tribolato a lungo per vendere la nostra casa nella campagna senese e acquistarne una a Siena, finalmente io e Luigi, mio marito, ci siamo trasferiti. Il giorno dopo il trasloco, seduti nella terrazza della nuova casa, ci sentivamo stanchi ma felici. Iniziava una nuova avventura. Ma il destino, si sa, ha i suoi percorsi e ci aspettava al varco. Poco prima di ferragosto Luigi accusa un dolore forte, che ci costringe al Pronto Soccorso. Da lì inizia la curva discendente che in soli due mesi lo porterà via. 

Grazie al sostegno di QuaViO (Qualità della Vita in Oncologia), può trascorrere gli ultimi venti giorni a casa, nella nostra camera, con me vicino ogni notte e con familiari e amici accanto. In camera sempre musica classica, la sua preferita. Era cosciente a fasi alterne, ma sono convinta che abbia sentito l’amore intorno a lui. Pur nella disperazione di quei giorni e il senso d’impotenza che ti assale, anche io ho vissuto un amore travolgente tra noi, quello che ti rimane dentro per sempre.

Poi lui è passato oltre e io ho incontrato un dolore che non credevo possibile e che per mesi mi ha levato ogni desiderio di vita. Continuavo a lavorare e a portare avanti le mie cose, ma dentro mi sentivo come morta.

A un certo punto del mio viaggio di dolore per un caso – che non è mai un caso – ho incontrato un gruppo di Auto mutuo Aiuto per l’elaborazione del lutto dell’Associazione A.M.A di Milano Monza Brianza che, causa Covid, si incontrava online. Un’esperienza profonda, di autentica condivisione con chi parlava il mio stesso linguaggio perché viveva la medesima esperienza di dolore, seppur per lutti diversi. Chi era più avanti nell’elaborazione del proprio dolore rappresentava un esempio e una speranza.

A distanza ormai di anni continuo a frequentare quel gruppo e a portare ai nuovi entrati il mio contributo. Visto il grande dono che io avevo ricevuto dal Gruppo e poiché a Siena mancava un’esperienza simile, ho seguito una specifica formazione a Milano per la facilitazione di gruppi di mutuo aiuto per il lutto e il 3 dicembre 2021è partito il primo gruppo a Siena attivato da QuaViO.

Personalmente vivo quest’esperienza di facilitatrice del Gruppo come qualcosa di molto prezioso, che dà un senso e uno scopo al dolore che ho attraversato.
Ho sempre pensato, dopo i momenti iniziali di totale smarrimento, che la mia esperienza di perdita e di sofferenza dovesse servirmi e servire. Perché il dolore ti riconduce all’essenziale e a ciò che veramente conta nella vita: dare e ricevere amore. Nel gruppo diventa ” competenza”, esperienza da condividere nell’aiuto reciproco. E testimoniare, per chi ha appena iniziato il difficile percorso dell’elaborazione di un lutto, che sì, ci si può fare, che la vita nel suo immenso mistero è comunque un viaggio stupendo.

Il dolore, se non lasci che ti uccida, può davvero cambiarti e divenire molto altro e molto di più: un senso profondo del vivere e del condividere.
Io credo che un modo per sostenere chi è nella notte del lutto, dopo i tempi iniziali e sacrosanti della riservatezza e del buio, sia quello di aiutare a finalizzare quel dolore verso uno scopo e dargli valore.

Nella foto Rosangela Palmas  e Luigi